sabato 24 dicembre 2011

Europa e Russia insieme per le foche

Passa la linea di Putin, vietato l'import-export delle pellicce della specie arpa. Gli animalisti: «Il Canada segua l'esempio»

ROMA - Le foche ora potranno applaudire: non sbattendo le pinne sulla pista di un circo, in attesa del boccone-premio, ma nel loro habitat naturale. Già, perché Russia, Kazakistan e Bielorussia hanno scritto la parola fine all'esportazione e all'importazione delle loro pellicce, in particolare di quelle della specie «arpa» (chiamate così per la chiazza sulla schiena degli esemplari maschi, simile allo strumento musicale, nome scientifico Pagophilus groenlandica), quelle più direttamente minacciate dalla caccia praticata in maniera estensiva in Canada. La scelta recepisce il veto espresso dall'Unione Europea nel 2009 ed è in sintonia con la volontà dell'ex presidente russo, Vadimir Putin, di opporsi «all'industria sanguinaria», praticata anche nel nord-ovest del Mare di Barents. Il Canada – dove la caccia è consentita, malgrado la censura internazionale – rimane, così, sempre più isolato.
«Il mondo – sottolinea Simone Pavesi, responsabile della campagna pellicce per la Lav – si sta chiaramente muovendo in favore di una tutela di questi animali e della promozione di attività economiche alternative. E' ora che il Canada faccia lo stesso, cominciando a ritirare il ricorso avanzato in sede di Organizzazione mondiale del commercio, contro il bando europeo». Entusiasta del provvedimento, l'attrice Brigitte Bardot, da sempre in prima linea nelle battaglie animaliste: «Mio premier preferito – ha scritto BB in un messaggio a Putin – le auguro tutto il meglio per i mesi e gli anni a venire. Grazie per aver sempre preso in considerazione le mie richieste, mi dispiace di non godere di un tale sostegno nel mio Paese, scandalosamente retrogrado quando si tratta di difendere gli animali».

Se il Vecchio Continente, ora con il sostegno della Federazione Russa, condanna la mattanza, negli Stati Uniti le foche sono al centro di un'annosa polemica. Siamo a La Jolla, nel Sud California, tra le mete preferite dai vacanzieri. E il pomo della discordia è la Children's Pool, tratto di spiaggia delimitato da un muro artificiale: l'opera, donata nel 1931 alla città di San Diego dalla filantropa Ellen Browning Scripp, doveva creare una sorta di piscina, ideale per i bambini. L'insenatura, protetta dai frangenti dell'oceano, è stata il paradiso dei bagnanti fino all'insediamento di una colonia di foche, nei primi anni Novanta. Da quel momento, nei mesi della riproduzione (dicembre-maggio), gli umani non sono ammessi. A marcare il confine, presidiato da volontari, è una corda: checkpoint discreto, ma tassativo.
La chiusura, seppure temporanea, è contestata da chi rivendica il diritto di accesso all'arenile. L'ultima diatriba è di pochi giorni fa: gli oppositori del divieto hanno piantato una tenda in segno di protesta, mentre gli animalisti hanno organizzato una manifestazione contro la persecuzione della specie protetta. La querelle, più che ventennale, vede contrapporsi una sentenza della corte federale (a favore delle foche) a quella della magistratura dello Stato, che si richiama alla funzione originaria del luogo, destinato ai bambini. Due anni fa, l'Assemblea legislativa della California, su richiesta del Consiglio della città di San Diego, ha provato a chiudere la controversia con un emendamento all'atto del 1931: l'ipotesi è quella di trasformare la spiaggia in una riserva marina. Il Consiglio, esasperato dai costi politici e finanziari della vicenda (le spese legali ammontano a oltre 1 milione di dollari), ha incassato il via libera del governatore. L'ultima parola, però, spetta alla Commissione Costiera della California: l'organismo, istituito nel 1976, dovrà decidere se rendere permanente la barriera. L'area, nel frattempo, rimane sotto sorveglianza della polizia, per evitare che la gravidanza delle foche sia turbata dalle opposte tifoserie.




Maria Egizia Fiaschetti






articolo tratto da "Il Corriere della Sera" on-line.

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